Follia, Patrick McGrath


Decise di indossare il vestito nero, lungo e scollato.
La sua pelle era diafana, pallida, bianca.
Era bellissima.
Era la moglie del vicedirettore dell’ospedale psichiatrico criminale. Suo marito Max quasi non si accorgeva di lei, tanto era impegnato a conversare con Jack il direttore e i colleghi.
Solo Peter le aveva rivolto la parola.
Nessuno si accorse dell’invito a ballare che gli fece un paziente in semi libertà.
Edgar Stark la prese silenziosamente e passò su di lei impercettibilmente ciò che di più intimo può esserci.
Subito Stella si vergognò ma decise di non farne parola a nessuno di quel gesto così diretto, così pauroso, così sfrontato.
Lo rivide.
Rivide Edgar nel giardino della loro nuova casa. Sistemava con impegno la serra, toglieva minuziosamente i pezzi di vetro rotti, il legno marcio.
Aveva la divisa, sì, la divisa da lavoro, la divisa che tutti i pazienti dell’ospedale indossavano.
Non fu necessario più di uno sguardo, di una parola. Si scatenò qualcosa di animalesco, proibito, incandescente, al di là di ogni controllo.
Stella non riusciva più a controllare le sue passioni, i suoi sentimenti, il suo corpo, i suoi gemiti, le urla represse.
Niente poteva essere controllato con Edgar.
Niente più Max, niente più Charlie, niente più forze, niente più amore, niente più vita.
Si occupava delle pulizie, cucinava, passeggiava per i sentieri intorno a casa, guardava il capanno – luogo di emozioni proibite – beveva gin e fumava una sigaretta dopo l’altra.
Londra, adorata Londra, pensava.
Ti raggiungerò, ti troverò e ti amerò.

Tutto questo fino a quando per la seconda volta, dopo un anno, Stella, più bella, più diafana, più pallida di prima, indossò di nuovo quello splendido vestito nero, lungo e scollato.

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