Le Assaggiatrici, Rosella Postorino
La
paga era buona: duecento al mese.
Tutte
eravamo contente quando la consegnavano. Chi doveva sfamare i figli, chi la
famiglia, chi come me viveva con i suoceri in attesa del ritorno del figlio,
mio marito: sì, Gregor sarebbe tornato per Natale per festeggiare con noi.
Tutte
le mattine mi preparavo, mi vestivo, mi pettinavo e indossavo i tacchi che
mettevo sempre a Berlino, ero abituata e li indossavo anche se stonavano con il
mio nuovo lavoro.
Tutte
le mie compagne me lo facevano notare appena salivo sul pulmino che ci portava
alla caserma.
Ad
aspettarci già dalla prima volta, quando eravamo spaesate, c’era Krumel, il
cuoco. Ci aspettava per farci assaggiare i suoi piatti. No, non erano i suoi
piatti, non erano sue le ricette.
Erano
i piatti del Lupo e noi le sue assaggiatrici, le assaggiatrici di Hitler.
Noi
mangiavamo, ingerivano, tutto quello che il Führer mangiava, ingeriva.
Eravamo in
dieci: tutti i giorni rischiavamo la morte, non sapevamo se saremmo tornate a
casa, tutte le mattine partivamo senza sapere se il veleno ci sarebbe entrato
nelle vene, nell’intestino, nello stomaco, nel cuore, nelle interiora.
Gregor, il
mio amato quel Natale non tornò e io mi comportai come si comporta il corpo di
una donna da tempo abbandonato a se stesso, da tempo non esplorato, visto,
toccato, sfiorato, preso.
Lo rividi,
lo rividi tornare, la guerra finita, le cicatrici aperte per sempre.
La nostra
storia ormai martoriata, ma lo amai per sempre. Lo amai fino all’ultimo giorno.
Continuai a
dormire, continuai a sognare le mie compagne, continuai a camminare, a
respirare.
Continuai a
mangiare aspettando sempre un’ora, il tempo della digestione, prima di alzarmi
da tavola.
Commenti
Posta un commento