Non si uccide per amore, Rosa Teruzzi

Libera si svegliò di soprassalto nel bel mezzo della notte.
Lo stesso incubo era arrivato puntuale: Saverio, il marito defunto, una mano… la mano di una donna o di un uomo? Chi aveva sparato? Chi aveva sparato al padre di sua figlia? Chi aveva sparato al marito dedito al lavoro di poliziotto lasciandole un vuoto dentro?
L’unica consolazione era potersi recare nel suo rifugio fatto di libri e di fiori, nel bel mezzo dei suoi amati bouquet che ormai da qualche tempo erano conosciuti e famosi come cimeli moderni portafortuna.
Come Precious Ramotswe, anche Libera aveva però un innato spirito per le indagini e aveva capito che era arrivato il momento.
Davanti alla prima tazza di caffè nero amaro, guardando i suoi libri, i girasoli, le piante aromatiche, in mezzo al profumo di mentuccia, mentre la pioggia fuori dalle piccole finestrelle scendeva inesorabilmente, aveva capito che doveva scoprire la verità sulla morte di suo marito.
Lo doveva a Vittoria, figlia restia, lo doveva alla sua coscienza, lo doveva a se stessa, dopo la scoperta di quel misterioso bigliettino e lo doveva anche alla mamma Iole, che in posizione Yoga, non vedeva l’ora di far riemergere dal suo baule, una delle tante parrucche dai colori discutibili.
Grazie all’aiuto di Cagnaccio, della sua assistente soprannominata la Smilza, grazie al suo acume e la sua fragile determinazione, forse una volta per tutte potrà conoscere l’amara verità.

Incontrare di nuovo Libera, Vittoria, Iole è come tornare a casa, dopo un mese di vacanza, davanti alla porta, pronta ad aprirla, vedere le proprie pareti, le proprie abitudini, sentire l’odore di chiuso, il profumo di famiglia, appoggiare i bagagli e sospirare, sapere che da quel giorno, dopo il tramonto ci sarà un nuovo inizio.

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